martedì 2 marzo 2010

Il libro è bello solo se tradotto

La globalizzazione vince sui virtuosismi linguistici

di Maria Beatrice Protino
Molti scrittori europei lamentano la difficoltà di trovare un editore di lingua inglese che traduca le loro opere: a quanto dicono, questo insuccesso sminuirebbe il loro prestigio. Ormai ci si sente realizzati solo quando si riesce a farsi pubblicare anche all’estero.
Lo scrittore Tim Parks –professore all’Università IULM di Milano, nonché traduttore di romanzi dall'italiano in lingua inglese per autori quali Alberto Moravia e Italo Calvino – fa un’analisi del nuovo mercato della letteratura ed evidenzia gli effetti della globalizzazione sulla qualità dell’opera letteraria.

Dal latino al volgare e ritorno

Nel periodo che va dal XIV al XVI secolo, gli scrittori di tutta Europa passarono gradualmente dall’uso del latino al volgare: l’ispirazione democratica dette slancio verso il consolidamento delle lingue nazionali, per cui gli scrittori – spinti senz’altro più dall’ambizione e dagli interessi economici che da una pulsione idealistica – iniziarono a rivolgersi direttamente a una nuova classe media allora emergente e nuovo arbitro del gusto.
Oggi accade il contrario. Come sottolinea Parks, la rivoluzione cui assistiamo è conseguenza di una globalizzazione in costante acceleramento, che ci spinge verso un mercato mondiale della letteratura, per cui gli autori sentono l’esigenza di raggiungere un pubblico internazionale e gli stessi lettori percepiscono il fascino dell’opera solo quando sanno della sua pubblicazione anche in inglese, come se entrassero a far parte di una comunità internazionale di estimatori di quel libro, di quell’autore.

La comprensione internazionale

Dal momento in cui un autore sa di avere un pubblico internazionale e non più solo nazionale, la natura della sua scrittura cambia. Inizia a temere gli ostacoli che la sua lingua inevitabilmente pone rispetto alla comprensione internazionale. Autori contemporanei come Alessandro Baricco o Pet Peterson – per citarne alcuni – scrivono romanzi che non richiedono conoscenze specifiche o sforzi particolari, per cui facilitano un eventuale lavoro di traduzione. La lingua è semplice, manca di virtuosismi e pecca di sfumature e dettagli legati alla cultura locale. Quel che rendeva Shakespeare brillante, coi suoi giochi di parole, è adesso considerato poco proficuo: la semplicità sembra proprio avere la meglio.


Articolo tratto da Ripensandoci

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