martedì 29 settembre 2009

Pavese e Vittorini: due intellettuali-traduttori


Negli anni del fascismo la California era vista come la terra promessa per gli Europei ed era meta di grandi flussi d’immigrazione. Gli intellettuali italiani degli anni Trenta, tra cui Pavese e Vittorini, erano molto attratti dal dinamismo culturale degli Stati Uniti. Infatti è evidente l’influenza della narrativa americana nelle loro opere. La radice letteraria del mito dell’America, in questi intellettuali-traduttori che non misero mai piede negli Stati Uniti, dà una coloritura particolare al loro sogno di fuga oltreoceano.

Il sogno americano di Pavese, in particolare, s’iscrive nel mito generale dell’America diffuso nel mondo intero, che appariva a molti come il mondo della modernità su cui proiettare i propri sogni di evasione e di avventura. Da quest’idea del "mito americano" nascono le esperienze di traduzione di opere americane: Pavese partiva da una traduzione letterale, per poi aggiungere uno stile proprio.

L'interesse di Pavese per il mondo americano nasce fin da giovanisimo: infatti era un tifoso dei film di avventura americani e un intenditore dell'arte di attori, attrici, registi.
Scelse come tesi di laurea l'analisi della poesia di W. Whitman.
Sempre in quegli anni inoltre aveva cominciato a tradurre con lena scrittori americani, come Melville e nel 1931 si stampa a Firenze la sua prima traduzione con relativa recensione: il romanzo "Il nostro signor Wrenn" di Sinclair Lewis, primo autore americano ad avere ottenuto il premio Nobel.

Il mestiere di traduttore ha una grande importanza non solo nella vita di Pavese, per la sua crescita in ambito letterario, ma per tutta la cultura e apre uno spiraglio a un periodo nuovo nella narrativa italiana.

I suoi primi due articoli di recensione si riferiscono alle opere di Lewis e S. Anderson.
Nel primo Pavese pone in rilievo quelli che ritiene i due meriti più grandi di Lewis, cioè la provincializzazione dei personaggi e l'utilizzazione della nuova lingua americana (lo slang). Contemporaneamente formula implicitamente il proprio programma: ricerca della provincia, innesto della lingua parlata nella scritta, rottura con la tradizione accademica nazionale.

Nel secondo propone un parallelismo fra l'Italia e l'America, teorizza che ciò che gli italiani hanno tentato invano di fare, cioè raggiungere l'universale attraverso la scoperta e l’approfondimento dei caratteri regionali, gli scrittori americani sono già riusciti a metterlo in atto. Pavese quindi afferma che nei romanzi americani è indicata la via da seguire anche per i letterati italiani.

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